
Sono figlia di braccianti agricoli, sono figlia di una cultura che riteneva la terra un bene imprescindibile da possedere. Sono cresciuta libera e piuttosto selvaggia. Ma poi diventando grande ho preso le distanze, andavo a scuola per avere un lavoro da fare con il cervello e non tanto con le mani, perché la terra è fatica e sudore, è lavoro quando altri sono in vacanza, è lavoro da “ignoranti”.
Me ne sono allontanata, ma poi trovandomi senza neanche un giardino mi sono sentita menomata e così ho accumulato vasetti, rosicchiato un pochino di terra sul ciglio della strada per le aromatiche. Infine, con un processo circolare sono tornata dove sono nata, circondata da alberi che conosco da quando ero ragazza, dall’erba e dalle piante.
Ho messo radici, forse non ancora definitive, ma cominciano a funzionare.
Ho dei rimpianti? Si, col solito senno di poi avrei voluto studiare agraria ed erboristeria per mettere le mani in terra con cognizione di causa.
Credo che mai come oggi la rivoluzione ricominci dalla terra, quando ci riconciliamo con essa, perché è lei che ci dà la vita e sporcandoci le mani impariamo a conoscerla, a capirla.
Credo sia ora per molti di tornare a casa e di smettere di vivere vite asettiche lontano dal flusso della vita.

Abbiamo pensato per tanto tempo che la vita vera fosse quella di città scandita da ritmi lavorativi e di divertimento forzato, aperitivi e cene con gli amici, shopping e festivi al centro commerciale, mentre nelle campagne tutto dormiva e restava immutato. In realtà è vero il contrario, fare i piccoli ingranaggi di un sistema che ci toglie tutto non è poi questo gran progresso.
Credo fermamente che oggi coltivare il cibo che ci nutre sia un vero atto rivoluzionario, rivoluziona totalmente il modo con cui ci approcciamo alle cose, il concetto di nutrimento e di coscienza. Sapere da dove arriva quello che mangiamo significa dargli la giusta importanza e valore.
Sporcarsi le mani, finalmente con un senso positivo del termine, ci aiuta ad essere consapevoli del mondo che ci circonda, delle stagioni che si avvicendano che non sono scandite solo dalle ferie o dall’accensione del termosifone piuttosto che del condizionatore. Osservare come la natura muta ci dona il senso di quello che succede anche in noi che ne siamo parte.
Vivere continuamente guardando narcisisticamente uno specchio che riflette l’immagine che ci piace di noi dentro i social, dentro un cellulare, non è vita, è una simulazione bidimensionale che ci imprigiona in uno stato avulso dal tempo e dalla profondità. Non stiamo guardando né dentro, né fuori, stiamo guardando una superficie liscia, senza anima, un riflesso.
Coltivare un orto, una pianta, anche se solo in un vaso, ci ancora ad una consapevolezza che tutto ha un senso e una ragione di essere. Ancor meglio è avere un po’ di terra.
Per fortuna anche i nuovi “contadini” stanno cambiando e la sconfinata fiducia nella chimica e nella scienza sta lasciando posto nei più illuminati alla consapevolezza che esiste un equilibrio di cui facciamo parte e che non va sottomesso e distrutto solo per affermare che noi siamo la razza eletta (parliamone).
Esiste un’infinita saggezza della natura che lavora in maniera che noi non riusciamo neanche a concepire, ogni erba che nasce e cresce in luogo ha una sua ragione di essere, aiuta il terreno ad aerarsi, la arricchisce di sostanze organiche o minerali per prepararlo alla fase successiva. Tutte le piante di un terreno sono collegate tra loro da una fitta rete “nervosa” di micorrize, insetti, batteri e quant’altro che ne fanno un unico organismo da non ferire e distruggere.
La terra scoperta, senza vegetazione, arata e ferita va incontro alla desertificazione e all’impoverimento che necessiterà sempre più di intervento umano per poter essere produttiva. Fermiamoci a pensare prima di strappare tutte le “erbacce”. Ascoltiamo la loro voce, guardiamole con occhi nuovi senza fermarci ad una miope visione antropocentrica, una pianta non è utile solo perché fa bene all’uomo, anche se molte di esse, generosamente, lo fanno.
Essere sovversivi diventa ribellarsi ad un sistema che ci vuole dipendenti per il cibo, per la salute, per ogni servizio, sempre più dipendenti dagli specialisti di qualcosa e sempre più lontani dalla visione globale, olistica. Non basta parlarne e fare una passeggiata, occorre veramente sporcarsi le mani.
E allora facciamolo e facciamolo fare anche ai bambini, che tutta l’igiene e disinfezione delle pubblicità non fa loro bene, non li protegge, li rende solo più deboli e preda di ogni germe perché il loro sistema immunitario non li riconosce.
Stiamo per affrontare una crisi da cui possiamo uscire solo tornando alla terra.
Se riusciamo a salvare lei, lei salverà noi.




